INPGI E LAVORO GIORNALISTICO
 
sanzioni civili e non INVOCABILITA’ DELL’ART. 1189 C.C. AD OPERA DEL DATORE
Corte d'Appello di Roma,   Sezione Lavoro,   23/10/2017,   n.4474

La Corte d’Appello di Roma – Sez. Lavoro – mutuando i principi più volte espressi dalla Suprema Corte – ha ribadito che il principio dell’apparenza del diritto, disciplinato dall’art. 1189 c.c., può trovare applicazione quando sussiste uno stato di fatto che risulti difforme dalla situazione di diritto e venga accertato un errore scusabile del terzo circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica. Sulla scorta di tale dettame, il Giudice dovrà procedere ad accertare non solo la buona fede del terzo, ma anche la ragionevolezza del suo affidamento. Tale affidamento non può essere certo invocato da chi, però, si trovi in una situazione di colpa che sia riconducibile a propria negligenza nell’aver trascurato l’obbligo, che gli deriva dalla stessa legge, oltre che dall’osservanza di norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, che proprio per la posizione in cui lo stesso si trova era facilmente controllabile. Il Giudice d’Appello ha ritenuto processualmente escluso che il datore di lavoro potesse nutrire dubbi sull’individuazione del soggetto in favore del quale eseguire correttamente il pagamento dei contributi, con la conseguenza che il versamento al creditore apparente non ha liberato la Società appellante dall’obbligo contributivo nei confronti dell’Inpgi. Né vi è spazioper esonerare la stessa società dall’obbligo di legge di pagare le sanzioni civili. L’assenza della buona fede del solvens – aggiunge poi la Corte – preclude altresì la possibilità di trasferire all’Inpgi i contributi pagati ad altri enti secondo quanto previsto dall’art. 116 Legge n. 388/2000 e invocato dall’azienda.
 
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INPGI E LAVORO GIORNALISTICO

sanzioni civili e non INVOCABILITA’ DELL’ART. 1189 C.C. AD OPERA DEL DATORE
Corte d'Appello di Roma,   Sezione Lavoro,   23/10/2017,   n.4474

La Corte d’Appello di Roma – Sez. Lavoro – mutuando i principi più volte espressi dalla Suprema Corte – ha ribadito che il principio dell’apparenza del diritto, disciplinato dall’art. 1189 c.c., può trovare applicazione quando sussiste uno stato di fatto che risulti difforme dalla situazione di diritto e venga accertato un errore scusabile del terzo circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica. Sulla scorta di tale dettame, il Giudice dovrà procedere ad accertare non solo la buona fede del terzo, ma anche la ragionevolezza del suo affidamento. Tale affidamento non può essere certo invocato da chi, però, si trovi in una situazione di colpa che sia riconducibile a propria negligenza nell’aver trascurato l’obbligo, che gli deriva dalla stessa legge, oltre che dall’osservanza di norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, che proprio per la posizione in cui lo stesso si trova era facilmente controllabile. Il Giudice d’Appello ha ritenuto processualmente escluso che il datore di lavoro potesse nutrire dubbi sull’individuazione del soggetto in favore del quale eseguire correttamente il pagamento dei contributi, con la conseguenza che il versamento al creditore apparente non ha liberato la Società appellante dall’obbligo contributivo nei confronti dell’Inpgi. Né vi è spazioper esonerare la stessa società dall’obbligo di legge di pagare le sanzioni civili. L’assenza della buona fede del solvens – aggiunge poi la Corte – preclude altresì la possibilità di trasferire all’Inpgi i contributi pagati ad altri enti secondo quanto previsto dall’art. 116 Legge n. 388/2000 e invocato dall’azienda.